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Volkswagen Typ 1: il maggiolino parlante della Porsche

Del Volkswagen Maggiolino, o per meglio dire del Volkswagen Typ 1, si potrebbero dire un’infinità di cose. Del resto, il Maggiolino, come lo chiamano in confidenza un po’ tutti, è un’automobile della storia infinita. Una storia che, neanche a dirlo, prende le mosse dalla matita di un genio dell’automobilismo. Se vi state chiedendo a chi appartenesse quella matita, la risposta la troverete sul cofano delle vostre automobili preferite: Ferdinand Porsche, naturalmente. Come molti già sanno, infatti, anche il Maggiolino di Volkswagen fu un progetto del fondatore della casa di Stoccarda, che, per certi versi, proprio con questa automobile maturò l’esperienza necessaria a lanciare le sue vetture. In primis la Porsche 356, i cui canoni estetici e tecnici ricalcano molto da vicino quelli del Maggiolone. Prima di addentrarci in quest’ambito, però, partiamo dall’inizio della storia del Maggiolino.

Volkswagen Maggiolino, l’automobile per il popolo voluta dal Führer

Storie come quella del Maggiolino possono essere molto difficili da raccontare, perché nate in un periodo controverso sotto la guida di persone discutibili. Abbandonando immediatamente questo campo, ci limiteremo a parlare della storia del Maggiolino, di come esso venne alla luce e di quali influenze esso ebbe sul mondo dell’automobilismo e, nello specifico, sulla nascita di Porsche. Tutte le altre considerazioni, invece, le lasceremo da parte.

La triste storia della nascita del Volkswagen Maggiolino

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La storia del Volkswagen Maggiolino ebbe inizio in un’Europa già vittima del Nazismo. Nel 1934, quando ancora le automobili erano ad appannaggio di una ristretta cerchia di persone, Adolf Hitler espresse il desiderio di realizzare una vettura alla portata del popolo. Era la cosiddetta Volkswagen, ossia l’automobile del popolo: una vettura, cioè, capace di trasportare cinque persone, a una velocità superiore ai 100 km/h, con un consumo medio di 7 litri per 100 chilometri e con un prezzo d’acquisto fissato intorno ai 1.000 Reichsmark. Grazie a questa, il Führer aveva intenzione di motorizzare finalmente il popolo tedesco, un po’ come Henry Ford, con la sua Ford T, aveva fatto negli Stati Uniti d’America.

Nel confronto fra le proposte di Ferdinand Porsche e dell’altro progettista interpellato allo scopo, Jakob Werlin, alla fine prevalse il primo. Non a caso, poiché questi aveva in mente un progetto simile almeno dal 1929, quando propose alla Mercedes-Benz e alla Zündapp il suo progetto Porsche Typ 12. Nonostante furono realizzati alcuni prototipi marcianti, alla fine l’automobile – che prese il nome di auto für jedermann, automobile per tutti – non andò mai in produzione. In ogni caso, Porsche ebbe vita piuttosto facile nell’allestire, già nel 1936, tre prototipi: le due berline e la cabriolet, furono testate per tutto il 1937 percorrendo complessivamente ben 2,4 milioni di chilometri. Nel 1939, dinanzi ai circa 825 mila spettatori del Salone Internazionale dell’Auto e della Moto di Berlino, viene presentato il Volkswagen, che riscuote un grande successo.

La vera difficoltà, invece, fu il prezzo di vendita imposto, che non consentiva di rientrare nelle spese, figurarsi realizzare un profitto. Era impensabile, pertanto, trovare un’azienda disposta alla produzione. La scelta del Reich, deciso a non fermare il progetto, fu quello di affidare tutto all’ente del dopolavoro Kraft durch Freude, che già offriva ai tedeschi viaggi e spettacoli a prezzi popolari. Il KdF, che pure non disponeva di fondi sufficienti per dar vita al progetto, propose ai lavoratori di acquistare l’automobile a un prezzo vantaggioso, anticipando settimanalmente le somme. Questo fornì le risorse economiche necessarie per avviare la costruzione dell’impianto di Wolfsburg. La produzione era quindi ormai pronta, ma presto la guerra portò a convertire lo stabilimento alla produzione bellica. Non a caso, dei circa duecento esemplari realizzati, quasi tutti finirono nelle mani di esponenti dell’esercito.

La vera nascita del Volkswagen Maggiolino

Come abbiamo visto, per certi versi la storia del Volkswagen Maggiolino si interruppe bruscamente con la guerra. E avrebbe potuto finire lì, se non fosse stato per l’ostinazione di un uomo, l’ufficiale inglese Ivan Hirst. Questi, infatti, propose agli Alleati di ripristinare la fabbrica di Wolfsburg per la produzione di macchine per l’esercito inglese. La proposta fu rifiutata, ma l’idea di ripristinare il sito produttivo fu approvato e Hirst fu posto a capo del progetto. Avvalendosi di prigionieri italiani, l’ufficiale tedesco rimise in sesto le infrastrutture. Con questi e altri prigionieri di mezza Europa, poi, Hirst coadiuvato dall’ufficiale della RAF, Richard Bennymore, che aveva avuto esperienza nella General Motors, riavviò la produzione del Maggiolino. Affinché il progetto non fosse definitivamente chiuso, fu fissato un limite minimo di mille automobili prodotte al mese: l’impresa, non senza difficoltà, riuscì e già nel 1946 furono prodotte 10 mila Volkswagen Typ 1, che furono consegnate esclusivamente agli Alleati.

Di fatto, però, la Volkswagen era ormai ripartita. Il 1° gennaio 1948, dovendo lasciare il suo posto, Hirst affidò le redini dell’azienda a Heinz Nordoff, che già alla fine del 1949 riuscì a portare la produzione a 50 mila unità prodotte in un solo anno. Porsche, che nel frattempo avevo subito le accuse di crimini di guerra, quando fece finalmente ritorno in Germania, pare si commosse alla vista di così tanti Maggiolini che circolavano in strada. Purtroppo, il genio di Stoccarda morì nel 1951 senza poter vedere quali altri successi avrebbe raggiunto questa automobile. Ciononostante, l’omonima casa di Stoccarda che egli fondò nel frattempo, si assicurò il diritto a 5 marchi tedeschi per ogni Maggiolino venduto, in cambio della promessa di non fare concorrenza con un’automobile similare.

La tecnica dietro il successo del Maggiolino

Come spesso accade in questi casi, un successo così grande non si spiega se non con una progettazione veramente all’avanguardia. In questo, Ferdinand Porsche fu un pioniere sotto molti punti di vista come dimostrò poi con le sue stesse automobili, che portarono avanti alcune delle scelte già intraprese col progetto del Maggiolino. Vediamo nel dettaglio quali furono queste scelte e come si arrivò alla macchina che tutti conosciamo.

Il design del Maggiolino Volkswagen ispirato dalla ceca Tatra

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È vero, Ferdinand Porsche fu un genio del suo tempo. Nel caso del Maggiolino Volkswagen, tuttavia, non poté lavorare in piena libertà. Questo risultò evidente proprio col design dell’automobile. A quanto pare, infatti, fu lo stesso Führer a indicare la direzione da percorrere. Durante i suoi viaggi in Cecoslovacchia, Hitler ebbe modo di viaggiare a bordo di una Tatra V570, apprezzandone particolarmente sia l’estetica che la tecnica. E infatti, osservando il disegno della V570 è facile riscontrare delle somiglianze fra l’automobile della Tatra e la Volkswagen. Del resto, questa somiglianza così come altre violazioni di brevetti portò Volkswagen, nel 1961, a pagare un cospicuo risarcimento alla Tatra.

Al netto di questi aspetti meramente legali, però, la Volkswagen Typ 1 presentava un disegno tondeggiante particolarmente aerodinamico, come dimostrava il Cx di appena 0,41. Questo fu possibile in virtù di una scelta: quella di montare il propulsore posteriormente, lasciando in tal modo un maggiore margine di manovra nel disegno del frontale. Il posteriore, almeno nella prima versione, era caratterizzato da un doppio vetro, i cosiddetti due vetrini, che fu successivamente modificato con un unico lunotto di forma ovale e, più tardi ancora, di forma rettangolare. Questa decisione in particolare arrivò quando, nel 1958, la Volkswagen si rivolse a Sergio Pininfarina, chiedendo consigli per migliorare l’automobile. Al netto di questo suggerimento, il designer si limitò a commentare: «È perfetta così, perché volete cambiarla?».

Ciononostante, nel coso degli anni, il Maggiolino ha subito numerose modifiche, circa 78 mila secondo gli esperti. In particolare, nel 1964 furono ulteriormente incrementate le superfici vetrate al fine di migliorare la visibilità. Inoltre, furono sostituiti i fanali anteriori e ingranditi i paraurti, peggiorando tuttavia l’aerodinamica. Nel 1970, invece, fu ritoccato il frontale rendendo il bagagliaio più capiente. Tre anni più tardi furono ritoccati i fanali posteriori e degli indicatori di direzione.

Successivamente, nel 1997 e poi nel 2011, la Beetle – come pure fu chiamata l’automobile – fu totalmente reinterpretata in chiave moderna. Dapprima con la Volkswagen New Beetle, che fu presentata nel 1994 al Salone dell’Automobile di Detroit. Poi, con la seconda generazione dall’aspetto decisamente più sportivo.

Il motore del Maggiolino Volkswagen

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Come detto, la scelta progettuale fu quella di montare il motore posteriormente. In particolare, il motore era montato in posizione longitudinale e a sbalzo. Nello specifico, la scelta ricadde su un motore boxer a quattro cilindri raffreddato ad aria. Una scelta che, come sanno gli amanti di Porsche, è stata a lungo il cavallo di battaglia della casa di Stoccarda. In ogni caso, i quattro cilindri avevano una cilindrata complessiva di 1.192 cm3, capaci di sviluppare una potenza massima di 34 CV a 3.600 giri/min. Il motore, poi, era coadiuvato da un cambio manuale a quattro rapporti, oltre alla retromarcia.

Questo, secondo quanto dichiarato dalla casa, consentiva all’automobile di raggiungere una velocità massima di 115 km/h e un consumo medio di 7,5 l/100 chilometri. Più che le prestazioni, però, ciò che interessava Porsche era l’affidabilità della macchina. Un fattore che trovò conferma negli innumerevoli test, anche indipendenti, a cui fu sottoposto il Maggiolino. Per esempio, nel 1954, la rivista Quattroruote sottopose due modelli a un’estenuante prova, costringendoli a percorrere l’Autostrade del Sole, appena inaugurata, per ben cento volte senza sosta. Durante i 18.664 chilometri percorsi, a una velocità media di 110 km/h, solo una delle due automobili andò incontro a un banale problema tecnico. Successivamente, i tecnici di Volkswagen esortarono la rivista a proseguire ancora il test. Dopo quasi 40 mila chilometri complessivi, solo una delle due automobili ebbe problemi che la costrinsero al ritiro, mentre la seconda automobile riuscì a completare tranquillamente la prova.

 

Quanti Volkswagen Maggiolino sono stati realizzati nel corso della sua storia, lunga ben 65 anni? Prima di svelare questo numero, basti pensare che l’automobile è ritenuta una delle cinque automobili più influenti al mondo, la quarta per numero di vetture vendute e certamente una delle prime per influenze su tutto il settore automobilistico. Saranno probabilmente i circa 21,5 milioni di modelli venduti, a spingere numerose case automobilistiche a reiterare questo successi incredibile. Fra queste, in un certo senso, anche Porsche. Come detto, la casa di Stoccarda non poté fare concorrenza alla Volkswagen, ma la sua 356 fu per certi versi una lontana parente del Maggiolino. E così, anche la Porsche 911, che non a caso condivide con il Beetle il suo record di longevità.

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Filippo
Filippo
2 anni fa

Bello. Sarebbe stato interessante anche una foto della Tatra “ispiratrice” nonché di uno dei primi modelli a doppio vetrino posteriore, oggi rarissima preda dei collezionisti.

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