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Piero Dusio, il salvatore di Ferdinand Porsche

Una vita come quella di Ferdinand Porsche, ricca di avvenimenti e di storia, inevitabilmente è affastellata da altri personaggi altrettanto affascinanti. Alcune semplici comparse, altri co-protagonisti o, comunque, importanti tanto da valere un approfondimento. Tra questi, senza ombra di dubbio quando si parla di Porsche, Piero Dusio. Un nome – alcuni lo conosceranno come Pietro Dusio – che può dire tanto o poco, ma che comunque ha influenzato la storia della casa di Stoccarda, fino a poter dire che senza di lui, probabilmente, oggi non avremmo la Porsche 911 e tutte le altre automobili che hanno fatto la storia del marchio Porsche. Non sapete il perché? Ne parliamo in questo articolo.

La vita di Dusio, che lo portò a conoscere Ferry Porsche

Prima di scoprire come e quanto Piero Dusio è stato importante per Porsche, conosciamo un po’ meglio il personaggio. Un uomo che, già di per sé, varrebbe la pena scoprire perché capace non solo di diventare tra gli uomini più ricchi d’Italia, ma anche uno sportivo influente tanto nel calcio quanto nell’automobilismo. Dusio nacque il 13 ottobre 1899 a Scurzolengo, in provincia di Asti. Della sua vita giovanile, in giro, si trova molto poco. Solo che nella stagioni 1919/1920 e 1920/1921 collezionò tre presenze come centrocampista della Juventus. Testimonianza di un passato di una vita votata allo sport, che però non trovò sostanza nel tempo. Secondo le poche note biografiche si trovano online, infatti, un infortunio a un ginocchio pose fine alla sua carriera anzitempo.

Non alla sua storia umana, che trovò invece sfogo nel commercio di tessuti, specialmente della tela cerata. Un’attività che gli diede successo dapprima nelle forniture sportive e poi, quando l’economia italiana dovette giocoforza convertirsi all’economia di guerra, nelle forniture militari. Tale attività, in breve, lo trasformò in uno degli industriali più importanti del Piemonte e dell’Italia intera. Il richiamo allo sport, però, era troppo forte. Così, nel 1941, divenne presidente della Juventus, la stessa squadra con cui aveva tentato la carriera da calciatore, e di restò tale fino al 1947 quando la società passò in mano agli Agnelli. Nel mentre, però, Dusio aveva già iniziato un’altra carriera: quella automobilistica. Già nel 1929 aveva preso parte alla Mille Miglia, mentre nel 1936 aveva partecipato al Gran Premio d’Italia. Ed è questa quella che interessa maggiormente a noi.

Pietro Dusio e la Compagnia Industriale Sportiva Italiana

Nel 1944, infatti, Dusio fondò un’azienda dal nome quantomai vago: Compagnia Industriale Sportiva Italiana, in breve Cisitalia. Fu proprio questa a farlo diventare un amico di Ferdinand Porsche. Nel 1946, su progetto di Dante Giacosa – che tra le altre cose disegnò anche la Fiat 500 Topolino – fu realizzata la Cisitalia D46. Un progetto rivoluzionario, ma, al contempo, dai bassissimi costi di produzione. Seguì, nel 1946, la Cisitalia 202, il cui design – progettato da Battista “Pinin” Farina – l’ha portata a essere la prima vettura a essere esposta permanentemente al MoMA di New York.

E qui, lo sappiamo, la storia compie uno di quei balzi destinati a cambiare il corso delle cose. Nel frattempo, con la guerra ormai conclusa, Ferdinand Porsche viene arrestato come collaborazionista del governo nazista e detenuto in Francia. Dusio, che nel frattempo è diventato suo amico, decide di prodigarsi affinché il progettista di Stoccarda possa essere liberato. Liberazione che, effettivamente, arrivò nel 1947 grazie al pagamento di una cospicua cauzione. Un gesto che, come dimostreranno i progetti a seguire, Porsche apprezzò non poco.

Due anni più tardi, infatti, la casa automobilistica italiana presenta la Cisitalia 360: una monoposto da competizione completamente progettata da Porsche. Il progetto, che richiese sedici mesi di sviluppo, era ambizioso. Forse anche troppo, visto che alla fine la Cisitalia non riuscì a portare l’automobile oltre lo stadio di prototipo. Ciononostante, la vettura presentava innovazioni di assoluto interesse: basti pensare che, anche grazie al motore boxer da 12 cilindri, l’automobile era in grado di sviluppare 385 CV e di raggiungere la velocità massima di 300 km/h. Ovviamente, non bastarono le prestazioni vertiginose della 360 per sostenere la casa costruttrice, che, anche a causa del progetto, entrò in amministrazione controllata. Piero Dusio fu costretto ad affidare l’azienda al figlio Carlo, mentre in Argentina fondò la Autoar che ricevette finanziamenti anche da Juan Peron. Anche in Sudamerica, dove Dusio si trasferì, proseguì il sodalizio tra Dusio e Porsche. L’azienda appena fondata, infatti, produsse la P.W.O., acronimo che stava per Porsche Willys Overland. Una vettura che derivava in parte dalla Jeep Willys e in parte (avantreno) dalla Porsche.

L’8 novembre 1975, però, Dusio trovò la morte in Argentina, dove ormai si dedicava solamente all’importazione delle vetture Cisitalia.

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