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Campionato Can-Am, lì dove tutto era permesso

La Formula 1 moderna, forse anche per l’apparente incapacità di innovazione, non esercita più lo stesso fascino degli anni passati, quando queste automobili riuscivano a mescolare adrenalina, brivido, competenze tecniche e capacità di guida. Ingredienti che, all’alba degli anni Sessanta, furono mescolati per costruire un altro campionato altrettanto affascinante: il Campionato Can-Am. Appena un decennio di corse ad altissimi livelli, ma sufficiente per stamparsi nella memoria collettiva di tutti gli appassionati di motori. Il motivo di questo successo? Una sola regola: nessuna regola (o quasi). E come sempre, anche in questo caso, Porsche riuscì a dettare legge.

Tutto quello che c’è da sapere sul Campionato Can-Am

Il Campionato Can-Am, più precisamente Canadian-American Challenge Cup, nasce nel 1966, ma le sue origini devono essere retrodatate di qualche anno. Precisamente al 25 giugno 1961, quando fu inaugurato il Motorsport International Raceway. Quel giorno, sul nuovo circuito canadese dove si svolse uno degli appuntamenti della Formula 1, si impose Stirling Moss a bordo della sua Lotus. Fu a lui, quindi, che gli organizzatori chiesero consiglio su come innalzare l’attenzione mediatica sul circuito. L’idea di Moss fu tanto semplice quanto ardita: organizzare un campionato nordamericano, con vetture biposto su circuiti brevi e montepremi accattivanti. L’idea, tuttavia, convince l’organizzazione che si misero subito in attività con diverse gare con queste caratteristiche. La svolta vera e propria, tuttavia, arrivò solo quando, nel 1966, lo Sports Car Club of America (SCCA) e la Canadian Automobile Sports Club (CASC) decidono di consociarsi per dare vita alla Can-Am.

Le caratteristiche del Campionato Can-Am

La grande fortuna del Canadian-American Challenge Cup è legata anche alla tipologia di automobili ammesse alle competizioni. I regolamenti, infatti, prevedevano le automobili del cosiddetto Gruppo 7: secondo il regolamento della FIA, le automobili di questo gruppo dovevano essere dotate di parafanghi, parabrezza, due sedili, due porte, fari anteriori e posteriori, rollbar, doppio impianto frenante e avviamento automatico con benzina commerciale. Inoltre, per l’omologazione delle vetture non erano previsti requisiti minimi di produzione: questo, unito alla mancanza di ulteriori lacciuoli regolamentari, garantiva ai team la massima libertà dal punto di vista progettuale. Motori sovralimentati, materiali adoperati nell’industria aeronautica, aerodinamica – all’epoca ancora agli albori – spinta ai massimi livelli possibili per l’epoca furono le caratteristiche delle automobili Can-Am, che si imposero immediatamente nell’immaginario collettivo. Ne fu un esempio il team Bruce McLaren Motor Racing, meglio conosciuto come McLaren, che si impose nel Campionato Can-Am dal 1967 al 1971, diventando la squadra che noi tutti oggi conosciamo. Ma anche Porsche, che pur imponendosi in soli due campionati, quelli del 1972 e del 1973, diventò immediatamente un’icona del motorsport. Ma andiamo avanti con calma. La grande fortuna della Can-Am, poi, fu anche dovuta all’interesse che, ben presto, grandi team – come Lola, Porsche, Ferrari – mostrarono per i ricchi premi garantiti dalle vittorie. Tutto questo, unito alla sfida tra team e piloti nordamericani ed europei, consentì al Campionato di imporsi in pochissimi anni.

La storia del Campionato Can-Am: dieci anni di follia

La prima edizione fu quella del Campionato Can-Am 1966. La stagione inaugurale prevedeva in tutto sei appuntamenti e vide l’iscrizione di team come Lola, Chapparal, McLaren e Ford. Le automobili Can-Am si sfidarono tra settembre e novembre sul Circuit Mont-Tremblant, Bridgehampton Race Circuit, Canadian Tire Motorsport Park, Raceway Laguna Seca, Riverside International Raceway, Stardust International Raceway. Alla fine della serie Can-Am 1966, con tre vittorie su sei, John Surtees e il suo team che gestiva la Lola T70 Mk.2, si impose su tutti gli altri partecipanti. In questa prima edizione, comunque, le automobili erano ancora derivate dalle vetture delle gare di durata. Subito dopo, invece, iniziò uno sviluppo tecnologico tanto repentino ed elevato che avrebbe portato le auto Can-Am a superare qualsiasi altro tipo di vettura da corsa.

La Can-Am 1967 vide una leggera modifica ai circuiti: al posto del Circuit Mont-Tremblant fu infatti inserito il Road America, che peraltro fu anche la gara inaugurale disputata a settembre. Il campione in carica, John Surtees, schierò nuovamente la Lola T70 Mk.3B/Mk.2. La vera novità del Campionato Can-Am 1967, tuttavia, fu quella schierata dal team guidato da Bruce McLaren: al posto della McLaren M1B, infatti, il team portò sullo schieramento di partenza la McLaren M6A: l’aerodinamica più curata, in accoppiata con il motore Chevrolet – che era montato anche dall’automobile di Surtees – consentì alle automobili guidate da Bruce McLaren e dal compagno di squadra Denny Hulme di imporsi, per cinque dei sei appuntamenti. Alla fine, con soli tre punti di scarto, fu proprio il proprietario del team ad aggiudicarsi il campionato, mentre Surtees alla fine arrivò solamente terzo. Da questa edizione, in pratica, si aprì un dominio da parte di McLaren destinato a durare per anni.

Nel Campionato Can-Am 1968 le posizioni di arrivo finale si invertirono: Denny Hulme, con la nuova McLaren M8A, si impose sul campionato con tre vittorie complessive, mentre Bruce McLaren gli giunse alle spalle. La superiorità delle automobili di McLaren fu tale che al terzo posto nella classifica finale si piazzò Mark Donohue, che era alla guida della McLaren M6A dell’anno precedente.

Nel Campionato Can-Am 1969 vi fu un sostanziale cambiamento: le gare passarono da sei a undici, introducendo quindi cinque nuovi circuiti e anticipando l’inizio a giugno. Anche il numero di partecipanti raddoppiò, anche grazie all’ingresso di nuovi team come Porsche, Ferrari, Matra e altri. La sostanza, tuttavia, non cambiò: la Can-Am 1969, come le precedenti due edizioni, fu una questione a due tra Bruce McLaren e Denny Hulme. Al termine della stagione, con sei successi per McLaren e cinque per Hulme, il proprietario della scuderia conquistò nuovamente il titolo.

Mentre continuava a crescere l’attenzione per la Canadian-American Challenge Cup, la Can-Am 1970 fu caratterizzata dalla riduzione a dieci appuntamenti. La McLaren, che oramai non schierava più il suo fondatore, tragicamente scomparso solo due settimane prima dell’inizio del Campionato Can-Am 1970 a causa di un incidente, si presentò con un ulteriore evoluzione della sua vettura, la McLaren M8D. Anche questa volta, la qualità della vettura era tale che Denny Hulme si impose in sei gare su dieci, mentre in altre due fu Dan Gurney, a bordo della medesima automobile, a vincere.

Quella di Hulme nel 1970, tuttavia, fu il suo ultimo successo nella competizione. L’anno seguente, nel Campionato Can-Am 1971, fu il suo compagno di squadra, a bordo della McLaren M8F, a imporsi nella classifica finale. Con una novità: Porsche, che fino a quel momento aveva schierato automobili di derivazione, si presentò con una novità: la Porsche 917. La vettura che aveva fatto vedere i sorci verdi a La 24 Ore di Le Mans, nella Can-Am guidata da Jo Siffert, si piazzò al quarto posto nella classifica finale. Fu un segnale, tuttavia, i cui risultati si sarebbero visti l’anno seguente.

Nella Can-Am 1972, infatti, la McLaren veniva da un filotto di vittorie impressionanti. La prima delle gare, peraltro, sembrò segnare una riconferma per il team Bruce McLaren Motor Racing. Fu solo un’illusione, perché già dal secondo appuntamento George Follmer alla guida della Porsche 917/10 si piazzò al primo posto. L’avrebbe fatto per cinque volte nel corso della stagione, riuscendo a imporsi nella classifica finale del Campionato Can-Am 1972. Si interrompeva, così, il dominio che la McLaren era riuscita a mantenere per ben cinque anni. La McLaren, ancora con Denny Hulme a bordo della McLaren M20, riuscì comunque a laurearsi vice campione, mettendosi alle spalle altre due Porsche 917.

Se il 1972 rappresentò l’ingresso in campo di una nuova forze, il 1973 fu la consacrazione di Porsche. La McLaren, con l’automobile dell’anno precedente e orfana di Hulme, divenne sostanzialmente un attore non protagonista. La Porsche, al contrario, fu protagonista assoluta del Campionato Can-Am 1973. Lo dimostra la classifica finale, dove le prime quattro posizioni furono sostanzialmente occupate da Porsche 917. A vincere questa sorta di campionato monomarca che fu la Can-Am 1973, alla fine fu Mark Donohue, seguito da George Follmer e da Hurley Haywood. Un assolo Porsche, garantito dall’incredibile superiorità tecnica della 917 che, secondo la casa, in qualifica arrivava ad avere addirittura 1.500 CV. Valori che non sarebbero mai più stati toccati in nessuna competizione sportiva.

La crisi petrolifera, a questo punto, già iniziava a farsi sentire. I grandi budget degli anni Sessanta erano solamente un ricordo e, anche la Can-Am 1974 subì un brusco arresto. Assettate di denaro per garantire uno sviluppo pressoché infinito, le auto della Can-Am non potevano reggere l’urto del tempo. Le gare, che negli ultimi anni si erano assestate sul numero di dieci, nel Campionato Can-Am 1974 si ridussero a sole cinque. Le grandi squadre degli anni precedenti, McLaren e Porsche incluse, presentarono sulla griglia di partenza vetture vecchie. Alla fine di quell’anno, quindi, a imporsi fu la Phoenix Racing Organisation con la Shadow DN4 motorizzata Chevrolet e guidata da Jackie Oliver.

Ormai, però, era finita un’epoca: quella fu l’ultima edizione ad alto livello della Can-Am. Anche quando nel 1977 si ritentò la ripresa del campionato, sospeso negli anni precedenti, l’interesse non fu più lo stesso. Nonostante un altro decennio di gare, alla fine, la Can-Am fu costretta a chiudere i battenti. Anche qui, però, Porsche lasciò un segno indelebile nella memoria di tutti gli amanti della casa di Stoccarda e del motorsport.

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