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Porsche 917, la regina della 24 Ore di Le Mans

Nel film Le 24 Ore di Le Mans la sfida che Micheal Delaney, alias Steve McQueen, lancia alla Ferrari, c’è una protagonista indiscussa: è la Porsche 917. Nessun’altra macchina, infatti, avrebbe potuto incarnare meglio una gara leggendaria come la 24 Ore di Le Mans. La 917, tuttavia, fu molto più che la regina di Le Mans: un vero e proprio laboratorio su pneumatici, dove i tecnici della casa di Stoccarda sperimentarono alcune delle tecnologie futuristiche per l’epoca. Oggi mettetevi comodi, perché andremo proprio alla sua scoperta.

Porsche 917: 3 campionati costruttori consecutivi, per diventare leggenda

La Porsche, sin dall’inizio della sua storia, si è imposta nel mondo del motorsport con automobili competitive, che hanno dimostrato quanto il genio di Zuffenhausen fosse capace di innovare costantemente il settore. Non sfuggiva a questa logica la Porsche 908, che nel 1969 si impose nel Campionato Mondiale Sportprototipi, né la sua succeditrice, la Porsche 917, che, nel giro di pochi anni, riuscì a diventare una vera e propria leggenda degli sport motoristici. Iniziamo a scoprire la storia di questa automobile.

Storia di un satanasso: le origini della Porsche 917

Nel 1969, la casa di Stoccarda presentò al Salone di Ginevra un prototipo che doveva rispondere ai nuovi regolamenti licenziati della Commissione Sportiva Internazionale (CSI) già nel 1967. A Le Mans, in particolare ma anche in altri circuiti veloci, si erano ormai raggiunge velocità troppo elevate, prossime ai 400 km/h, che esponevano i piloti – e in alcun casi, come nel Disastro di Le Mans, gli spettatori – a pericoli eccessivi. Di conseguenza il CSI aveva deciso di limitare le cilindrate, fino a quel punto senza alcuna limitazione come dimostrava il mostruoso motore Ford da ben 7 litri, a soli 3.000 cm3.

La casa di Stoccarda, che aveva deciso di investire in questo campionato, già dal luglio del 1968 si mise al lavoro per progettare una vettura in grado di rispondere ai nuovi requisiti regolamentari. Uno sforzo non indifferente, come dimostrarono gli avvenimenti successivi. Quello stesso anno, dopo aver derogato il regolamento consentendo la partecipazione anche dei veicoli del Gruppo 4, la Commissione ridusse il numero delle automobili necessarie per l’omologazione da 50 a 25 soltanto. Anche in casa Porsche si riscontrarono delle difficoltà: durante le prime ispezioni dei commissari del CSI, infatti, erano pronte solamente tre delle 25 automobili necessarie e, per questo motivo, l’automobile non ricevette l’autorizzazione all’iscrizione. Lo sforzo della casa di Stoccarda, tuttavia, fu tale che nell’aprile del 1969 i 25 esemplari furono completati e la Commissione acconsentì all’omologazione della Porsche 917. Ciò che aveva fatto la casa di Stoccarda era un capolavoro, ma soffriva ancora di problemi di gioventù. Un diamante grezzo, che necessitava di essere smerigliato per brillare al meglio. Andiamo alla scoperta della tecnica che si celava dietro questa automobile.

Disegnata dal vento, veloce come un fulmine

Dal punto della carrozzeria, la Porsche 917 poteva essere annoverata come Coupé. La vettura aveva una linea filante, ma una coda che diede non pochi problemi. Essa, sia un versione lunga che corta, non era in grado di generare sufficiente portanza. Per questo, i tecnici della Porsche dotarono la vettura di alette stabilizzatrici, che erano collegate alle sospensioni posteriori. Questo provocò non poche polemiche tra i concorrenti della 24 Ore di Le Mans del 1969, che contestavano la loro irregolarità. La Commissione, tuttavia, decretò che le alette erano parte del progetto necessario alla sicurezza stessa dell’automobile. In ogni caso, la vettura risultò inizialmente particolarmente instabile, tanto che quasi tutti i piloti scelsero la precedente 908, nonostante un motore meno potente.

La carrozzeria, montata su un telaio a tralicci realizzato con tubolari in lega di alluminio, era realizzata con pannelli di poliestere. Questo, unitamente a tutta una serie di materiali innovativi, consentì di contenere il peso in appena 800 kg. La configurazione dell’automobile prevedeva, inoltre, il motore montato posteriormente. Le sue dimensioni erano tali, però, che fu necessario spostare l’abitacolo in posizione più avanzata.

Partendo da questo prototipo, nel corso degli anni furono realizzate numerose varianti che spesso riguardarono proprio la coda. Nel 1970, la John Wyer Automotive Engineering, suggerì una modifica che avrebbe caratterizzato la versione più nota di tutte, la Porsche 917K. I tecnici della scuderia, infatti, chiesero di realizzare una coda con un profilo ascendente, completamente aperta sotto. Caratteristica della 917K, infatti, era la possibilità di vedere motore e sospensioni posteriori. Questa versione, denominata Kurzherk, ossia coda corta, si dimostrò particolarmente efficace: nonostante il coefficiente di penetrazione fosse peggiorato, l’automobile acquisiva maggiore stabilità al posteriore ed efficienza nello scambio termico del propulsore. A dimostrazione dell’apprezzamento per questa versione, venti dei 25 esemplari originari furono convertiti, mentre i dodici esemplari realizzati successivamente furono già allestiti con questa variante.

La 917K, tuttavia, non fu l’unica variante messa a punto. Quasi in alternativa a questa, infatti, fu presentata sempre nel 1970 la Porsche 917LH. Nelle due lettere finali la principale differenza con l’altra versione: LH, infatti, stava per Langheck, ossia coda lunga. Questa versione realizzata proprio per Le Mans era caratterizzata da un alettone dotato di una sola ala e le ruote posteriori carenate. Questo, oltre a ridurre le turbolenze al posteriore, consentiva di raggiungere velocità elevatissime sul lungo rettilineo del Circuit de la Sarthe, e di abbassare il tempo sul giro nonostante una velocità in curva inferiore alla 917K.

Ancora, nel 1972, la Porsche 917 cambiò nuovamente il suo vestito. Quel che partorirono i tecnici Porsche fu la Porsche 917/10: al frontale fu installato un muso corto “a cucchiaio”, mentre posteriormente fu installato un gigantesco alettone. Il risultato finale fu un’automobile dal passo corto, ma estremamente efficace grazie al motore esasperato installato su di essa. Nonostante questo, la 917/10 fu in grado di imporsi nel campionato Can-Am.

Il balzo in avanti, sempre dal punto di vista aerodinamico, fu invece compiuto in occasione della 24 Ore di Le Mans del 1971. Per quell’anno, i tecnici di Porsche, che ancora non erano particolarmente specializzati negli studi aerodinamici in galleria del vento, si affidarono alla S.E.R.A. Si trattava di un’azienda francese, che invece aveva grande competenza in materia. Il lavoro messo a punto fu la Porsche 917/20, una vettura a metà strada la Kurzherk e la Langheck. Più lunga della prima e meno della seconda, la 917/20 acquisì superficie deportante soprattutto in larghezza, mentre perse l’alettone posteriore. Sulla pista, questa versione si dimostrò particolarmente efficace, riuscendo addirittura a imporsi come la più veloce sul Circuit de la Sarthe. Un guasto, tuttavia, interruppe la sua gara mentre si trovava al 6° posto.

Prima di concludere la sua carriera, la 917 Porsche vide nascere due nuove varianti. La prima, la 917/30, crebbe nel passo e vide il ridisegno del frontale, adesso più incavato e, per questo, capace di offrire maggiore carico aerodinamico sulle ruote anteriori. Anche al posteriore si ridisegnò lo spoiler, donando così maggiore guidabilità alla vettura. La seconda versione, che fu anche l’ultima evoluzione della 917, fu rappresentato dalla Porsche 917K/81. L’automobile, com’è facile intuire dalla sua denominazione, doveva partecipare alla 24 Ore di Le Mans del 1981. Il poco tempo a disposizione, tuttavia, non consentì di dedicarsi al miglioramento aerodinamico della vettura e, per questo, Bob Wollek che la pilotava si vide sopravanzare dalla anche Porsche 936, che rappresentava la succeditrice della 917 stessa.

Un gioiello di tecnica: il motore della Porsche 917

Il vero capolavoro compiuto dai tecnici di Porsche, più che nell’aerodinamica, era sotto al cofano. Il progetto del propulsore, il progetto Typ 912, fu affidato al padre di tutti i motori Porsche, Hans Mezger, il quale diede vita a uno dei progetti più incredibili di sempre, con l’apporto di materiali mai usati prima: magnesio, cromo, nichel-carburo di silicio, nichel-cromo-molibdeno, lega di titanio solo per citarne alcuni. Il motore della Porsche 917 era il risultato dell’evoluzione del propulsore, sei cilindri con cilindrata da 2,2 litri, della Porsche 911 R. I tecnici della casa di Stoccarda, in qualche modo, unirono i due monoblocchi, realizzando così un dodici cilindri con una cilindrata di 4.494 cm3. A dispetto della tradizione di Zuffenhausen, però, i motoristi Porsche scelsero una configurazione a V di 180° invece della classica configurazione dei motori boxer, ma comunque raffreddato ad aria. Il risultato fu un’unità capace di erogare 560 CV a 8.400 giri/min. Tanto per capire di cosa stiamo parlando, l’elettroventola di raffreddamento ruota a 7.400 giri/min ed era in grado una capacità di aspirazione di 2.400 l/sec. Solo per il suo funzionamento, l’assorbimento in potenza era di circa 17 CV.

Come per l’aerodinamica, anche il propulsore fu soggetto a un continuo lavoro di aggiornamento. Già nel 1970, per esempio, fu aumentata la cilindrata e la potenza massima salì a ben 600 CV a 8.300 giri/min. Con l’arrivo delle sovralimentazioni, nel 1971, le potenze salirono ulteriormente. Grazie a una pressione di sovralimentazione di 1,35 bar, la Porsche 917/10K riuscì a erogare 1.100 CV a 8.000 giri/min, anche se pare che al banco il propulsore fosse in grado di erogare addirittura 1.500 CV. Se questi numeri non bastassero a comprendere il potenziale di questa unità, sappiate che il motore era in grado di una coppia massima di ben 1.098 Nm, che provocavano nell’albero ausiliario una torsione di circa 20°. Anche in questo caso, la ventola di raffreddamento era chiamata a prestazioni adeguate: capace di 9.000 giri/min, per erogare fino 3.100 litri d’aria al secondo, da sola assorbiva circa 31 CV. Un vero e proprio mostro, capace di imporsi per due anni nel campionato Can-Am.

Per capire il potenziale di questo motore, del resto, possiamo affidarci a qualche numero. La Porsche 917 era capace di scattare da 0 a 100 km/h in soli 2,3 secondi e da 0 a 200 km/h in appena 5,3 secondi. La velocità massima raggiunta dalla vettura, nella versione Langheck fu di ben 386 km/h

I risultati sportivi della Porsche 917

Se la Porsche 917 è diventata così importante nella storia del motorsport, al di là delle sue apparizioni cinematografiche, è soprattutto per i risultati conseguiti in pista. Basterebbe dire che, proprio l’impegno di Porsche nel progettare questa automobile, costrinse tutte le altre case costruttrici a un maggiore dispendio per non sfigurare eccessivamente di fronte allo strapotere della 917. La 917, tuttavia, andò ben oltre questo anche se all’esordio, nel 1969, non riuscì a ottenere grandi risultati, ma comunque si impose nella 1000 km di Zeltweg.

Nel 1970, tuttavia, la musica cambiò. Alla 24 Ore di Le Mans, con l’equipaggio formato da Hans Herrmann e Richard Attwood, la 917 si impose su tutti gli altri concorrenti. Nel Campionato Mondiale Sportprototipi del 1970, complessivamente, la Porsche 917 riuscì a imporsi su ben sette piste, fra cui Daytona, Sebring, Monza e Spa-Francoforte solo per citare le più note. Alla fine dell’anno, quindi, la 917 si aggiudicò il titolo costruttori. Non andò così bene nella Can-Am di quell’anno, con un solo secondo posto.

I risultati positivi, tuttavia, proseguirono anche l’anno successivo. A cominciare proprio da Le Mans, dove Helmut Marko e Gijs van Lennep si imposero nuovamente su tutti. In questa edizione, in particolare, la 917 K registrò un record sulla pista di Le Sarthe: con percorrenza chilometrica di 5.335,31 chilometri, percorsi a 222,304 km/h di velocità media, fino al 2010 la Porsche mantenne il primato della 24 Ore di Le Mans più lunga. Al mantenimento di questo primato lungo quarant’anni, occorre dirlo, contribuì la successiva modifica del tracciato, che lo rese più lento che in passato. Nel corso dell’anno, poi, la 917 Porsche si aggiudicò nuovamente la 24 Ore di Daytona e, alla fine dell’anno, il Campionato Mondiale Sportprototipi.

Dopo le variazioni regolamentari, Porsche decise di investire sulla Can-Am a partire dal 1972. Anche questa volta, così come nel 1973, la Porsche 917 riuscì a portare a casa il Campionato. Questo, di fatto, ha reso la 917 una delle vetture Porsche più vincenti di sempre.

 

Un’ultima curiosità: quanto può valere una Porsche 917, come quella usata da Steve McQueen nel film Le 24 Ore di Le Mans? Difficile a dirsi, si tratta comunque sia una fuoriserie rarissima. Di certo, nel 2021, la nota casa di aste RM Sotheby’s ha messo all’asta una 917 K del 1970, con livrea Gulf Oil, guidata da David Hobbs e Mike Hailwood durante la 24 Ore di Le Mans di quell’anno, ma uscita al 49° giro. Ebbene, se l’auto scenica di McQueen era stata venduta nel 2017 per circa 14 milioni di dollari, è stato stimato che questa Porsche 917 abbia un valore che può oscillare tra i 16 e i 18,5 milioni di dollari. Se scoprite di averne una nel pollaio di famiglia, potete ritenervi ricchi.

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