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Porsche Mission E, la Porsche del futuro

Quando Ferdinand Porsche progettò la sua Semper Vivus, probabilmente, aveva grandi speranze circa la possibilità di applicare la tecnologia dell’elettricità alla mobilità umana. Col passare degli anni, però, dovette anche lui piegarsi all’immediata disponibilità di potenza legata ai motori endotermici. Se però, nel 2015, avesse visto la Porsche Mission E, probabilmente, il genio di Stoccarda avrebbe esclamato qualcosa tipo «ich habe es dir gesagt». Ve lo avevo detto. La Mission E, infatti, rappresenta a tutti gli effetti l’atto finale di un percorso iniziato in Porsche con il suo fondatore e che, presto, porterà alla completa elettrificazione della gamma. Tutto, però, ha avuto inizio con la Mission E Porsche ed è su questa vettura, la prima Porsche elettrica, che oggi concentreremo la nostra attenzione.

Una missione per i progettisti: la Mission E

La decisione di realizzare la Mission E, com’è facile intuire, nacque dalla volontà della casa di avviarsi verso la realizzazione di automobili full electric nel breve-medio periodo. Del resto, anche il brief aziendale era tanto semplice quanto sfidante: realizzare una vettura elettrica sportiva, dotata di quattro posti, che rispettasse in pieno lo spirito delle automobili della casa. Un compito, soprattutto quello di non deludere le aspettative della clientela, certamente non semplice: il design di una vettura del genere, vista la natura della sfida, non poteva essere banale, ma, al tempo stesso, doveva risultare familiare. Né potevano essere da meno le prestazioni, considerato il blasone della casa costruttrice dal punto di vista motoristico, sia in termini di potenza che per quanto riguardava i tempi di ricarica. Per trovare una ricetta simile, prima di portare su strada la Porsche elettrica, la casa si decise per la realizzazione di un prototipo con cui sondare il terreno. Per questo, la Mission E ha un valore elevatissimo – e in futuro ancor di più – per la casa della cavallina. L’automobile fu presentata per la prima volta nel settembre 2015, presso il Salone dell’Automobile di Francoforte. Nel 2016, al Festival Internazionale dell’Automobile di Parigi, la vettura conseguì anche il premio The Most Beautiful Concept Car of the Year. Prima di entrare nel dettaglio, però, andiamo alla scoperta della genesi di questo progetto.

Il design della Mission E: tra passato, presente e futuro

Nel progetto della Mission E, come detto, fu posta grande attenzione sul design. Il team di designer guidato da Michael Mauer, ancora una volta, si lasciò guidare dalle linee della Porsche 911 e da quelle più recenti della Panamera. Seppure con differenze legate all’assenza del motore anteriore come nella 911, il team realizzò un linguaggio che richiamava inconfondibilmente agli stilemi della casa. Anteriormente, come spiegato dagli stessi progettisti, l’automobile rappresentava un inconfondibile richiamo alle vetture del periodo tra gli anni Cinquanta e Settanta. Osservando, per esempio, il frontale della Porsche 550 Spyder è possibile rintracciare delle similitudini con la Mission E. Al classico “muso tondo” di Porsche, poi, furono affiancate due grandi prese d’aria frontali, cui fu affidato il compito di convogliare l’aria verso le pance dell’automobile. Un design che, in una certa misura, richiama quello della Porsche 919.

Le fiancate, peraltro, furono caratterizzate da un’altra scelta progettuale singolare: le porte con apertura centrale. L’assenza del montante centrale – così come delle maniglie, completamente integrate nelle portiere, e degli specchietti retrovisori – oltre a favorire l’accesso all’automobile, consentiva di mantenere una particolare pulizia del design per chi osserva l’automobile a portiere aperte. Ultimo, ma non meno importante, fu il disegno del posteriore della Missione E Porsche: un unico arco di luce, sotto cui campeggia il nome della casa, anch’esso illuminato.

L’automobile, infine, poggiava anteriormente su ruote con cerchi in carbonio da 21 pollici e posteriormente da 22 pollici. Ciascuna delle quattro ruote, oltre a essere motrice, è sterzante e ciò consente di percorrere le curve con maggiore velocità e precisione.

Il cuore della Mission E: il motore elettrico

Il progetto della Porsche Mission E, più di tutto, è legato al progetto del suo motore. Era evidente già allora che la sfida da vincere era quella legata alla ritrosia della clientela verso un cambio così radicale. Una sfida che non poteva essere vinta semplicemente nella potenza, ma che doveva necessariamente avere anche un riscontro nella vita di tutti i giorni. Con la Mission E, pertanto, fu intrapreso un lavoro di ricerca nella direzione della ricarica rapida. Questo portò alla sperimentazione della ricarica a 800 Volt. Uno standard oggi comune, ma che al tempo rappresentava una vera e propria rivoluzione: grazie a questa soluzione, chiamata Turbo Charging, la batteria agli ioni di litio, che trovava posto al di sotto della vettura per abbassare ulteriormente il baricentro dell’automobile, poteva essere ricaricata con un’autonomia di 400 chilometri in soli 15 minuti. Un tempo accettabile nella vita di tutti i giorni. Anche perché la batteria della Mission E continuava a essere alimentabile anche da comuni stazioni di ricarica da 400 Volt, dalla presa di casa o, addirittura, in modalità wireless.

Chiuso il capitolo della ricarica della vettura, restava aperto quello delle prestazioni. Negli anni, coi motori endotermici, la casa di Stoccarda ha abituato i suoi estimatori a un piacere di guida non comune. Questo si traduce in una “prestazionalità” delle vetture, che devono sempre essere in grado di offrire la potenza giusta, al momento giusto. Nel caso della Mission E questo è assicurato da ben due motori elettrici indipendenti PSM: il primo posizionato sull’asse anteriore e il secondo su quello posteriore. Questo genere di propulsori risultano molto efficienti, poiché dissipano poco calore erogano la potenza in maniera molto uniforme. Complessivamente, l’automobile è in grado di generare una potenza di 600 CV o, più correttamente visto che siamo al cospetto di un’automobile elettrica, 440 kW. Dal punto di vista statistico, questa soluzione consente all’automobile di ottenere prestazioni del tutto paragonabili a quelle tradizionali: uno scatto da 0 a 100 km/h in soli 3,5 secondi, che diventano 12 nell’allungo fino a 200 km/h, e una velocità massima di 250 km/h.

Mission E, Tecnologia senza compromessi

Quella della Mission E non è solo l’impegno della casa costruttrice a realizzare la sua prima automobile elettrica. L’obiettivo di un prototipo come questo è anche quello di sperimentare tecnologie capaci di proiettare il mondo verso il futuro. Un lavoro in tal senso è stato compiuto negli interni dell’automobile, affidati ancora una volta al gruppo di Mauer. I cinque strumenti che fanno bella mostra di sé nel cruscotto, per esempio, sono tutti virtuali: al loro posto, infatti, vi è un display OLED che si adatta alla posizione degli occhi del guidatore. Grazie a questa tecnologia di Eye Tracking, lo sterzo non ostacola mai la vista del guidatore. Quest’ultimo, così come i passeggeri, possono poi gestire la vettura tramite semplici gesti delle mani, ampliando le potenzialità di comando.

 

Insomma, una vettura prototipo che ha introdotto tante tecnologie del presente e che, probabilmente, in futuro sarà vista come una pietra miliare della storia di Porsche. Proprio come le prime vetture disegnate dal giovane ingegnere di Stoccarda.

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