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Porsche 935, il terrore del turbo anni Settanta

Metti la follia delle corse anni Settanta, con automobili dalle potenze stratosferiche lanciate su circuiti dalle dubbie regole di sicurezza. Aggiungi l’ingegno della casa di Stoccarda, in quel periodo particolarmente prolifico grazie all’impegno di Norbert Singer e altri tecnici del suo calibro. Mescola con la cultura della Porsche 911 e di tutte le altre creazioni della casa ed ecco che vedrete nascere un mito: la Porsche 935. Un’automobile non comune, capace di ammaliare gli amanti delle corse di ogni tempo e, come vedremo, non soltanto. Prima, però, iniziamo dalle sue incredibili origini.

La Porsche 935/76, la prima della stirpe

Quando nel 1976 stava per entrare in in vigore il nuovo regolamento FIA relativo al Gruppo 5, a cui potevano prendere parte solo le Special Production Cars, una particolare categoria di automobili, basate su vetture omologate per la circolazione stradale, ma dotate di una scocca esteriore in materiale leggero (p.es. fibra di vetro, fibra di carbonio, ecc.) che richiama alle forme della produzione di veicoli, Porsche decise di lavorare a un nuovo veicolo. L’automobile, che all’epoca si chiava solamente Porsche 935, era dotata del celebro motore boxer a sei cilindri. Questo, grazie alla cilindrata da 2.850 cm3, era in grado di sviluppare una potenza massima di 560 CV, se la pressione del turbocompressore era impostata a 1,2 bar, o 630 CV, con una pressione di sovralimentazione di 1,5 bar. Questa incredibile potenza, unita all’eccezionale peso di soli 970 chilogrammi, consentì alla 935 Porsche di vincere a debutto alla 6 Ore del Mugello.

Alla successiva 1000 km del Nürburgring, la 935 fu modificata. La squadra di progettisti, guidata da Norbert Singer, si rese infatti conto che il regolamento consentiva di modificare il design dei parafanghi. Ciò, pertanto, significava l’opportunità di spostare i fari, che effettivamente in origine erano posizionati sui parafanghi, tra il paraurti e lo spoiler anteriore. Questo consentiva di aumentare la carreggiata e di montare pneumatici maggiorati, ma anche di ridurre la resistenza aerodinamica offerta dai fari stessi. Il risultato fu un’automobile capace di raggiungere il quarto di miglio in soli 8,9 secondi e di scattare a 0 a 60 miglia orarie in soli 3,3 secondi.

1977, l’anno della Porsche 935 Baby

Le modifiche aerodinamiche avevano prodotto il risultato sperato e, per questo, anche nel 1977 la Porsche 935 fu sottoposta a ulteriori affinamenti aerodinamici. La carrozzeria fu messa a punto affinché offrisse minore resistenza, mentre il lunotto posteriore fu riprogettato per condurre con maggiore facilità i flussi d’aria verso l’alettone posteriore. La revisione del 1977, poi, riguardarono anche il propulsore: il nuovo motore, al posto del grande turbo di cui era precedentemente dotato, furono installati da due turbo di ridotte dimensioni. Questi, in particolare, erano capaci di ridurre l’inerzia e quindi il classico ritardo di cui soffrivano i turbo dell’epoca senza sacrificare la potenza. La potenza di queste automobili fu tale che numerosi clienti avanzarono la richiesta a Porsche di averne una, ma la casa di Stoccarda allestì solo automobili con la carrozzeria della 935/76 e doppio turbo.

Il 1977, poi, fu anche l’anno della cosiddetta Porsche 935/77 Baby. Questa versione, il cui progetto aveva come nome ufficiale Porsche 935J, fu allestita con lo specifico obiettivo di competere nel campionato tedesco. Questo prevedeva un motore turbo da 2 litri e una riduzione di peso che consentì all’automobile di raggiungere un peso di appena 735 chilogrammi. Il risultato fu che la 935 Baby ottenne la vittoria a Hockenheim, dimostrando le sue grandi potenzialità. La casa di Stoccarda, tuttavia, ritenne di ritirarla dalle competizioni e di esporla presso il suo museo.

La Porsche 935 Moby Dick

Dopo la versione Baby, evidentemente, Porsche avvertì l’esigenza di andare agli antipodi. Per questo, nel 1978 i tecnici della casa di Stoccarda misero a punto un motore con una cilindrata di 3.2 litri raffreddato a liquido. Questo consentì di raggiungere la potenza massima di 750 CV a 8.200 giri/min. La caratteristica più evidente della nuova versione, però, furono il muso e la coda, che, unitamente alla minore altezza da terra, consentiva di massimizzare l’efficienza aerodinamica della vettura. Il suo design sinuoso spinse gli addetti ai lavori a chiamare la vettura Porsche 935 Moby Dick: più che un cetaceo, però, l’automobile si rivelò un vero e proprio squalo. A quell’edizione della 24 Ore di Le Mans, l’automobile raggiunse la velocità record di 365 km/h. Nonostante questo, a causa di problemi tecnici, l’automobile non riuscì a imporsi. Nonostante questo, riuscì a trionfare alle 6 Ore di Silverstone di quello stesso anno.

Le Porsche 935 Kremer

Sin dal debutto, la Porsche 935 rappresentò un vero e proprio affare per la casa di Stoccarda. Le vetture, infatti, erano in grado di imporsi ovunque e, per questo, erano molto richieste dalla clientela. Porsche, tuttavia, era abbastanza restia a introdurre kit di evoluzione della Porsche 935. Un vuoto che fu colmato dai fratelli Manfred ed Erwin Kremer. Questi, titolari di una concessionaria di Colonia, misero a punto quattro kit di evoluzione: K1, K2, K3 e K4. I primi due, in buona sostanza, erano molto simili alla versione originale, mentre gli ultimi due cambiavano radicalmente l’approccio della vettura. I kit K3 e K4, infatti, prevedevano il ridisegno del frontale, del cofano e del posteriore, con un alettone maggiorato, capace di migliorare le doti di penetrazione della vettura. Anche i propulsori furono rivisti, con l’apporto di Porsche stessa, riuscendo ad arrivare alla potenza massima di 800 CV a 8.000 giri/min, con il kit K3, e a 900 CV, con il kit K4. Quest’ultima versione, in particolare, ebbe grossi problemi di affidabilità. Al contrario, la Porsche 953 K3 fece segnare sul Nürburgring un tempo paragonabile a quello delle vetture di Formula 1. Alla fine, la vettura fu in grado di ottenere il primo e il secondo posto alla 24 Ore di Le Mans del 1979, il primo posto alla 12 Ore di Sebring del 1980 e il primo posto alla 24 Ore di Daytona del 1981.

Porsche 935 street: l’unica versione stradale della 935

Quando negli anni Ottanta la Porsche 935, ormai, era diventato un mito su ruote, molti avrebbero voluto condurne una. Magari su strada, senza doversi prendere la briga di raggiungere appositamente un circuito. La casa di Stoccarda, in tal senso, dalla fine degli anni Settanta si è dotata di un apposito reparto per le richieste speciali, il Sonderwunschprogramm. Per questa ragione, quando l’imprenditore saudita Mansour Ojjeh, azionista della McLaren F1 e proprietario della TAG avanzò la richiesta di possedere una versione stradale della 935 Porsche, i tecnici della casa presero subito in carico la richieste. Il reparto si dotò della scocca di una Porsche 930 sulla quale furono installati tutti i componenti della versione da corsa, come il motore da 3.3 litri che era destinato ai team satellite, sospensioni e impianto frenante. Nel suo Brillant Red, abbinato a interni color crema, la Porsche 935 Street, come poi fu ribattezzata, diventò immediatamente un piccolo gioiello che, recentemente, è stato messo all’asta con una valutazione che varia tra i 300 e i 400 mila euro.

La nuova Porsche 935: un mito che torna al presente

Nel 2018, in occasione della Rennsport Reunion a Laguna Seca, Porsche ha svelato un progetto sino a quel momento top secret: la nuova Porsche 935. Non il semplice restauro di un vecchio modello, ma una versione completamente rinnovata. A capo del progetto è stato posto Grent Larson, che, nonostante il poco tempo a disposizione, ha potuto contare sulla possibilità di esprimersi liberamente, non essendo imbrigliato dai lacciuoli di regolamenti e omologazioni. La Porsche 935 nuova, pertanto, è stata realizzata sulla base della 911 GT2 RS, ma con un’aerodinamica completamente rivisitata in galleria del vento. La GT2, però, non è stata l’unica automobile da cui i tecnici hanno preso ispirazione. Accanto a questa, poi, ci sono gli specchi retrovisori della 911 RSR, le luci posteriori a LED integrate nell’alettone posteriore della 919 Hybrid LMP1, la plancia della GT2 RS, il volante della GT3 R. Il propulsore, da 3.8 litri e 700 CV di potenza massima, deriva dalla GT2 RS. Un altro gioiello della casa di Stoccarda, prodotto in soli 77 esemplari, venduti in Italia al prezzo di circa 855 mila euro l’una.

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