Mavment Blog

24 ore di daytona

La 24 Ore di Daytona, il regno incontrastato di Porsche

In Florida, a due passi dalle spiagge di Daytona Beach, c’è un circuito. Lungo 3,56 miglia, secondo le unità di misura in uso negli Stati Uniti d’America, è il più classico dei tracciati ad anello, pensato appositamente per gare di velocità. Si tratta, per chi ancora non l’avesse capito del Daytona International Speedway, il circuito della 24 Ore di Daytona, gara meglio conosciuta come il regno incontrastato di Porsche. È qui, infatti, che le automobili della casa di Stoccarda detengono il record di vittorie, a dimostrazione della sua indole sportiva e vincente. Andiamo alla scoperta di questo circuito e delle vetture che hanno trionfato su di esso.

Un inferno lungo un giorno: ecco la 24 Ore di Daytona

C’è un episodio, che forse più di altri spiega bene cosa sia la 24 Ore di Daytona. Dan Gurney, all’epoca già pilota ufficiale di Porsche, nel 1962 si trovava alla guida di una Lotus all’allora 3 Ore di Daytona. Trattandosi di una gara di endurance non è importante impiegare il minor tempo possibile, ma giungere al traguardo per primi allo scadere del tempo. Gurney, dopo aver costruito un vantaggio importante, trovandosi in difficoltà meccaniche con la propria automobile, decise di accostare e di far trascorrere quanto più tempo possibile. Non appena il direttore di gara sventolò la bandiera a scacchi, il pilota statunitense rimise in moto e, seppur lentamente, riuscì a tagliare il traguardo per primo vincendo la gara. Questo è lo spirito di una gara come la 24 Ore di Daytona, che negli ultimi anni ha più volte cambiato nome più volte: da 24 Hours Pepsi Challenge a SunBank 24 at Daytona sino a diventare Rolex 24 at Daytona. Iniziamo dalla storia di questa gara e scopriamo poi le caratteristiche del circuito.

La storia della 24 Ore di Daytona: il circuito più biu

Come visto, la storia della 24 Ore di Daytona non nasce in maniera lineare. Prima di approdare alla versione che conosciamo noi tutti, infatti, la gara prevedeva una “versione ridotta”. Nel 1962, infatti, si disputò la prima 3 Ore di Daytona, che fra le altre cose era anche valida per il Campionato del mondo sportprototipi e prendeva il nome di Daytona Continental. Due anni più tardi, nel 1964, fu deciso di impostare la gara su una distanza di duemila chilometri, e circa dodici ore di durata, che all’epoca corrispondeva al doppio delle classiche gare di endurance. Nel 1966, sulla falsariga della 24 Ore di Le Mans, si decise di fissare la durata della gara a un intero giorno, che rappresenta la modalità ancora oggi utilizzata.

Fino al 1982 la gara ha fatto parte del Campionato del mondo, ma, a seguito dell’adozione di un nuovo regolamento, fu escluso da esso e rimase solamente come parte del campionato endurance dell’International Motor Sports Association (IMSA), che contempla solo circuiti statunitensi. Nonostante questa limitazione, la 24 Ore di Daytona ha mantenuto intatto il proprio fascino, al punto che ha continuato ad attirare alcune delle migliori case costruttrici sportive, fra le quali naturalmente Porsche.

Più tardi, nel 1998, problemi finanziari e differenze di visione, portarono a una con la IMSA e la 24 Ore di Daytona passò a far parte della serie United States Road Racing Championship dello Sports Car Club of America (SCCA). Due anni più tardi, nel 2000, vi fu un nuovo passaggio e la gara passò al campionato Grand-Am Rolex Sports Car Series, della Grand American Road Racing Association di cui fa ancora oggi parte.

Lì dove la cavallina è imbattibile: il circuito del Daytona International Speedway

Nato nel 1954, quando il fondatore della NASCAR, William France Sr., siglò un accordo con le autorità cittadine, il Daytona International Speedway è stato ufficialmente inaugurato il 25 novembre 1957. Nel corso degli anni, rispetto al tracciato originale, sono state effettuate numerose modifiche, che ne hanno variato anche la lunghezza complessiva. Il progetto è opera dell’ingegnere Charles Moneypenny, che, secondo il volere del committente, dovette impegnarsi a realizzare la sopraelevata più alta possibile, così da permettere alle automobili di raggiungere la più elevata velocità possibile – al crescere dell’angolo, cresce la velocità di percorrenza possibile – e da offrire lo spettacolo più suggestivo agli spettatori.

Rispetto alla 24 Ore di Le Mans, la 24 Ore di Daytona presenta alcune sostanziali differenze. La principale è che la corsa francese si svolge, fra l’altro, anche attraverso strade cittadine. Viceversa, quella statunitense si corre esclusivamente su un circuito e precisamente, come detto, il Daytona International Speedway. Come detto, il circuito, che sorge all’interno di un’area di oltre 70 ettari capace di accogliere fino a circa 170 mila spettatori, ha una lunghezza complessiva di 5.729 metri (3,56 miglia) ed è per questo il più breve fra quello delle gare endurance. Il percorso attuale, infatti, si basa sul tracciato tri-ovale, a cui si aggiungono alcune parti del tracciato interno che innalzano il numero di curve a dodici. Queste, proprio per soddisfare la volontà di France, arrivano a raggiungere l’inclinazione di 31°. La larghezza della pista, invece, varia dai 10 ai 20 metri e non sono previste vie di fuga in asfalto.

Dopo il traguardo, la prima curva da affrontare è molto lunga e rappresenta il passaggio dall’ovale al circuito stradale. Si entra, quindi, nell’International Horseshoe, che è composta da due tornanti raccordati da una curva che si affronta in piena accelerazione per ben 680 metri. Il breve rettilineo successivo conduce a un altro tornante, che immette nuovamente sull’ovale. A questo punto si affrontano due curve, anch’esse affrontate a piena velocità per 1.300 metri, che portano alla chicane Bus Stop. Dopo di essa, inizia il rettilineo che è lungo ben 1.800 metri.

Un aspetto fondamentale durante la gara è il fattore luce. Nei mesi in cui si corre, infatti, il sole sorge intorno alle 7 e tramonta verso le 18. Questo significa che la notte dura ben tredici ore, rendendo la 24 Ore di Daytona la gara di endurance con la fase notturna più lunga. Al fine di dare un aiuto, nel 1998 il circuito è stato dotato di un impianto di illuminazione, che tuttavia viene utilizzato solo per il 20%: l’International Horseshoe, infatti, viene lasciato al buio per favorire la concentrazione dei piloti.

I successi di Porsche alla 24 Ore di Daytona

La casa costruttrice che ha raccolto più successi sul circuito di Daytona, come sappiamo, è la Porsche. Complessivamente, la casa di Stoccarda ha collezionato ben diciotto successi nei sessant’anni di storia della competizione se si considerano le partecipazioni come automobile. Al contrario, se si considerano anche i propulsori montati a bordo di altre automobili, allora la Porsche ha ottenuto ben ventidue successi. La prima vittoria della serie giunse il 3-4 febbraio 1968 a opera del team Porsche System Engineering, che portò una Porsche 907LH a tagliare per prima il traguardo dopo aver percorso ben 4.126,567 chilometri. Fra i piloti che si alternarono alla guida alcuni dei più celebri piloti Porsche, come Jo Siffert e Hans Herrmann.

I successivi trionfi giunsero nel biennio ’70 – ’71. Nella gara disputata fra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1970, il team J.W. Engineering condusse la Porsche 917K sul gradino più alto del podio, con 4.439,279 chilometri. Lo stesso avvenne l’anno successivo, fra il 30 e il 31 gennaio 1970, quando il team J.W. Automotive Engineering, dopo “solo” 4.218,542 chilometri, si classificò nuovamente primo grazie nuovamente alla Porsche 917K.

Un nuovo biennio vincente, per così dire, si aprì nel 1973: tra il 3 e 4 febbraio, la Brumos Porsche, con una Porsche Carrera RSR, percorse 4.108,172 chilometri mettendosi dietro tutti gli altri sfidanti. Dicevamo un biennio per così dire: nel 1974, infatti, la corsa non si disputò, ma l’anno successivo, tra il 1° e il 2 febbraio, il team Brumos Porsche riuscì comunque a replicare il successo con la medesima automobile. E non solo, perché di lì a poco la stessa squadra tornò sul gradino più alto del podio. Nel 1977, tra il 5 e il 6 febbraio, fu il team Ecurie Escargot a riportare la Porsche Carrera RSR in cima alla classifica dopo aver percorso 4.208,499. Chiusa la parentesi, l’anno successivo, nella gara che si disputò il 4-5 febbraio 1978, fu nuovamente il team Brumos Porsche a percorrere più chilometri di tutti. Con 4.202,319 chilometri, percorsi a bordo della Porsche 935/77, infatti, la squadra ottenne gli allori sul circuito di Daytona.

Da questo momento in poi, il dominio della casa di Stoccarda alla 24 Ore di Daytona fu impressionante. Dal 1977 e fino al 1987, fu sempre Porsche a ottenere la vittoria. Dopo la Brumos, il 3-4 febbraio 1979, fu il turno della Interscope Racing con la Porsche 935/79. L’anno successivo, il 2-3 febbraio 1980, la L&M Joest Racing percorse ben 4.418,615 chilometri con la Porsche 935J che si classificò prima. L’edizione successiva, che si disputò fra il 31 gennaio e il 1° febbraio, il team Garretson Racing/Style Auto portò al successo la Porsche 935 K3. Un anno dopo, il 30-31 gennaio 1982, fu il turno della JLP Racing con la Porsche 935 JLP-3. Quello dopo ancora, disputato il 5-6 febbraio 1983, la Henn’s Swap Shop Racing portò al successo la Porsche 935L. Il 4-5 febbraio 1984, fu la March83-Porsche del team Kreepy Krauly Racing a vincere la gara di endurance. Nel 1985, precisamente tra il 2 e il 3 febbraio, con una Porsche 962C la Henn’s Swap Shop Racing vinse nuovamente la gara. La stessa macchina, il 1°-2 febbraio 1986, vinse col team Löwenbräu Holbert Racing, che replicò anche l’anno successivo sempre con la 962C.

Giunti al 1988, la lunga sequela di successi della casa di Stoccarda si arrestò per riprendere nel 1989, tra il 4 e il 5 febbraio, con il team Miller/BFGoodrich Busby Racing. Da questo momento in poi, le vittorie di Porsche si andarono diradando. Nel 1991, infatti, il team Joest Racing portò alla vittoria un’altra Porsche 962C. Per rivedere un’auto della cavallina di Stoccarda trionfare a Daytona si dovette attendere il 1995, quando il team Kremer Racing vinse con la Kremer K8 Spyder – Porsche. Dopo un vuoto ancora più lungo il 1°-2 febbraio 2003, è stata la Porsche 911 GT3-RS del team The Racer’s Group a riportare in alto il vessillo di Stoccarda. E questa, a oggi, rappresenta l’ultimo trionfo di Porsche alla 24 Ore di Daytona. Almeno per il momento.

0 0 votes
Article Rating
Subscribe
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
0
Would love your thoughts, please comment.x