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Porsche flat six: il vecchietto che fa ancora scuola

Uno dei segreti del successo di Porsche nel corso di quasi sessant’anni, oltre che il design delle sue automobili, risiede nelle scelte progettuali dei suoi motori. All’avanguardia, ma saldamente legati alla tradizione. Non è un caso che quella di Stoccarda sia stata una delle ultime case costruttrici ad abbandonare il raffreddamento ad aria per i suoi propulsori. Una scelta sofferta, dettata più da esigenze ambientali che da un cambio di filosofia. Così com’è frutto della tradizione la scelta del motore boxer. In questo articolo, però, ci dedicheremo ad un’altra delle prerogative dei suoi motori: parleremo, cioè, del Porsche flat six, il leggendario motore che ha fatto la storia di tutte le automobili della cavallina di Stoccarda.

Auto, aerei e moto: il Porsche flat six nella storia

Quella di Porsche è una storia di innovazioni, portate avanti con ingegno e perseveranza da parte di pionieri nel loro campo. In questo ambito, il Porsche flat six occupa sicuramente un ruolo fondamentale, per quanto ha offerto in termini di sportività alle sue automobili. Con l’espressione Porsche flat six, tradizionalmente, si fa riferimento a un motore con un’architettura di sei cilindri contrapposti. Di questo motore, la casa di Stoccarda ha iniziato a far uso nei primi anni ’60, con l’automobile che avrebbe fatto la sua storia: la Porsche 911. Da allora non ha più abbandonato questa filosofia costruttiva. Prima di addentrarci nello specifico, facciamo un breve passaggio sulla storia del motore flat six e sulle sue caratteristiche tecniche.

La storia del motore Porsche flat six, il sei cilindri contrapposti

Il flat six non è propriamente un’invenzione di Porsche. Tracce dei primi motori a sei cilindri contrapposti risalgono addirittura ai primi del ‘900. Già nel 1904, infatti, la casa automobilistica britannica Wilson-Pilcher montò a bordo delle sue vetture un motore flat six con una cilindrata di 4.041 cm3, capace di sviluppare tra 18 e i 24 CV. Preistoria automobilistica, ma non soltanto. Il motore a sei cilindri contrapposti, infatti, ha trovato utilizzi anche in ambito aeronautico. Dal 1940, infatti, iniziò la produzione del Franklin O-265, dove la O sta indicare proprio i motori flat six secondo la notazione adoperata da diversi produttori di propulsori aeronautici. In breve, il ridotto ingombro offerto dai flat six fece sì che questi motori soppiantassero i motori radiali in questo ambito. Persino in ambito motociclistico, sebbene in epoche più recenti, i motori a sei cilindri contrapposti hanno trovato fortuna: nel 1987, infatti, la Honda montò un flat six a bordo della sua Gold Wing.

Il successo dei motori flat six, tuttavia, arrivò proprio con Porsche e, in particolare, con la Porsche 911 a cui spesso viene associato. Nel 1963, la casa di Stoccarda montò per la prima volta il motore boxer a sei cilindri, che poi sarebbe stato ripreso anche a bordo di altre sue vetture come la Porsche 914, la Porsche 959 e altre ancora. Da allora, anche altre case automobilistiche hanno iniziato a fare uso del flat six. Un caso emblematico è quello della Subaru, che dal 1988 a seguire ha iniziato a fare uso di motori a sei cilindri contrapposti.

La tecnica del motore flat six

Dal punto di vista dell’architettura, il motore flat six è composto da sei cilindri, tre per ciascuna bancata, orizzontalmente opposti in una V di 180°. Questo significa che i pistoni di ciascun cilindro si muovono dall’esterno all’interno e viceversa, invece che dal basso verso l’alto come accade per un motore a cilindri lineari, e sono collegate a un unico perno di manovella. Questo assicura un ottimo equilibrio del propulsore, sia per quanto concerne le forze di prim’ordine, cioè le forze generate dagli organi in movimento alternativo, sia per quanto riguarda le forze di second’ordine, ossia le forze generate dagli organi in movimento rotativo. È per bilanciare queste forze che, normalmente, i motori con cilindri in linea montano contralberi, che hanno lo specifico compito di bilanciare le forze in gioco così da ridurre le vibrazioni generate dal motore a beneficio del comfort di guida, della durata e delle prestazioni del propulsore. Il flat six, invece, risolve questi problemi: soprattutto in configurazione boxer, questo motore genera poche vibrazioni.

I vantaggi di un propulsore flat six, tuttavia, non sono soltanto questi. La sua conformazione, poco ingombrante longitudinalmente e larga, assicura un baricentro particolarmente basso e una maggiore compattezza. Questo aspetto apparentemente marginale, in realtà riveste particolarmente importanza quando si parla di automobili sportive. Il baricentro più basso, infatti, assicura una maggiore stabilità. Di contro, visto che il suo ingombro si sviluppa trasversalmente, se disposto anteriormente questo genere di motori riduce lo spazio disponibile per le ruote e, quindi, l’angolo di sterzata. Un problema che, come noto, Porsche non ha mai avuto vista la sua filosofia costruttiva.

Una breve storia del Porsche flat six

Come visto, la casa di Stoccarda è stata tra le prime case costruttrici ad adottare il sei cilindri contrapposti. Il primo motore Porsche flat six di queste fortunata serie è stato il Type 901/01, un motore da 1.991 cm3 montato sulla prima Porsche 911 nel 1963. Con esso, l’automobile era in grado di sviluppare una potenza massima di 130 CV. Nel 1966, invece, la Porsche sviluppa una versione potenziata, il Type 901/02 capace di sviluppare una potenza di 160 CV, che fu montato sulla Porsche 911. L’anno successivo, fu la volta del Type 901/03, che fu montato sulla 911T, mentre il 901/06 andò sulla Porsche 911L.

A distanza di un decennio dal primo Porsche flat six, Stoccarda dovette adattarsi alle più stringenti norme in materia di emissioni. Per questo, nel 1974 fu messo a punto un sei cilindri contrapposti dotato di iniezione K-Jetronic, con una potenza che, a seconda della versione, era in grado di andare da 150 a 175 CV. L’anno successivo, con la Porsche Carrera 3.0 e la Porsche 930 Turbo, le potenze del Porsche flat six salirono rispettivamente sopra i 200 CV. In particolare, con il primo motore Porsche flat six sovralimentato furono raggiunti i 260 CV.

Anche negli anni ’80, Porsche ha continuato a fare uso del suo Porsche flat six, seppur adeguandolo ai tempi. Nel 1984, con l’aumento della cilindrata, il motore montato a bordo della Porsche 911SC ha raggiunto i 234 CV. Di lì a poco, i motori Porsche flat six avrebbero perso una delle loro principali caratteristiche: il raffreddamento ad aria. Non prima di beneficiare di un biturbo che, con la Porsche 993 Turbo innalzò la potenza massima a 402 CV. Il passaggio al raffreddamento al liquido non ha certamente intaccato i motori Porsche da un punto di vista prestazionale. Lo dimostra la Porsche 996, con cui si è arrivata a sviluppare una potenza massima di 444 CV.

Anche le automobili più recenti della casa di Stoccarda hanno portato avanti la tradizione del Porsche flat six. Nelle sue espressioni più moderne, con sovralimentazione gestita da turbine a geometria variabile come nel caso della Porsche 997 Turbo la potenza è arrivata fino a 486 CV, che sono diventati 516 CV con la Porsche 997 Turbo S.

L’ultima generazione di Porsche 911 risalente al 2019 mantiene intatta l’impostazione del Porsche flat six, ma continua la rivoluzione. Grazie a un nuovo sistema di aspirazione e a nuovi iniettori, la Porsche 992 raggiunge, nella versione Carrera S, una potenza di 450 CV, che diventano 650 CV con la Turbo S. Veri e propri mostri di potenza, con un vecchietto ancora in grado di dare filo da torcere a chiunque.

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